In un mare di verde smeraldo, nel comune di Scheggia-Pascelupo, al congiungimento (da qui il nome) dei fiumi Sentino e Riofreddo dove il confine umbro lascia spazio alle Marche, sorge l’abbazia di Sant’Emiliano in Congiuntoli.
Uno dei più antichi cenobi dell’Umbria, l’abbazia fu fondata alla fine del X secolo, come le coeve Santa Maria di Sitria e Fonte Avellana e fu abitata dai monaci cistercensi fino al 1596 e poi abbandonata, probabilmente a causa della presenza degli abati commendatari, inviati dalla Santa Sede per gestire direttamente le immense ricchezze delle abbazie e dei monasteri.
Da quel momento in poi un inarrestabile declino segnerà il destino dell’abbazia di Sant’Emiliano, che culminerà con la sua vendita all’asta da parte dello Stato Italiano ad alcuni contadini del luogo.
Una volta divenuta casa colonica, le sue strutture furono adibite a fienili, stalle e depositi, i nuovi proprietari non apportarono alcuna manutenzione all’edificio, che fu preda di un costante degrado fino al crollo del tetto e la perdita degli affreschi.
Ancora oggi permane in parte tale situazione: la chiesa, visitabile, è tornata di proprietà dello Stato, il resto della struttura è ancora in mano ai privati ed in stato di semi abbandono.
L’ambiente più antico dell’abbazia è la prima chiesa (che ancor oggi è adibita a fienile), alla quale si aggiunge la seconda chiesa, quella visitabile, voluta dai templari a dimostrazione della loro potenza.
Dalle linee sobrie e scarne, a due navate e senza terminazione absidale, architettura tipica dell’architettura cistercense, la chiesa dell’abbazia fu adibita a stalla fino agli anni Sessanta del Novecento, quando l’incuria provocò il crollo dei tetti delle navate. A causa di tale crollo l’altare in pietra venne distrutto e perduto per sempre.
I tanti anni senza la copertura del tetto resero l’interno della chiesa di Sant’Emiliano in Congiuntoli un vero e proprio bosco, le cui radici divelsero il pavimento originario, del quale è ancora visibile un piccolo esempio.
Provvidenziale l’intervento di Gian Battista Emiliani, proprietario delle Cartiere di Fabriano, che finanziò nel 1907 il recupero dell’ultimo affresco superstite, custodito ora nella Pinacoteca Civica di Fabriano e del quale nella chiesa si può ammirare una riproduzione a grandezza naturale: la Madonna nell’atto di allattare Gesù Bambino, Santa Caterina di Alessandria e Sant’Emiliano, al quale è dedicata l’abbazia.
La strada che si percorre per arrivare Sant’Emiliano era, già 2500 anni fa, un diverticolo della via Flaminia, da qui l’interesse per l’abbazia da parte dei Templari, perché via di pellegrinaggio sia verso Roma che verso Ancona quindi, verso la Terra Santa.
Simboli dei Cavalieri del Tempio sono ancora visibili a Sant’Emiliano: una formella sulla chiave di volta di una delle monofore, posta sulla parete esterna, reca una croce greca patente templare, un fiore della vita a sei petali, una rosa canina a cinque petali, associata alla figura di Maria alla quale era dedicato l’Ordine del Tempio.
Sotto i simboli è raffigurata una scena nella quale una donna tiene un bambino in braccio nell’atto, sembra, di porgerlo al Cavaliere, probabilmente simboleggia Maria che affida suo figlio, ed i luoghi Santi, alla protezione dei Cavalieri del Tempio. La dedica a Papa Onorio IV ha la data 1286.
Innumerevoli sono ancora le curiosità da scoprire, e che Alessandro, appassionato custode di questo luogo incantato, racconta ad ogni visitatore, ed immenso è il fascino che l’abbazia di Sant’Emiliano in Congiuntoli, nonostante le sue tante traversìe, riesce ancora fortemente ad emanare.
di Benedetta Tintillini
Si ringrazia Associazione Culturale Matavitatau
Gentili signore, egregi signori,
in questa vostra pagina dedicata all’Abbazia di Sant’Emiliano in Congiuntoli, a proposito di una formella in pietra riportante alcuni simboli, tra le atre cose scrivete …”alla figura di Maria alla quale era dedicato l’Ordine del Tempio”.
Ma siete sicuri?
Ma dove avete mai letto che l’Ordine del Tempio era “dedicato a Maria”?
Non sono uno fanatico neo-templarista di “bocca buona” che vede cavalieri ovunque ma solo un ricercatore di storia e monachesimo medievale e, fossi in voi, correggerei un’inesattezza marchiana.
Grazie.
Gentile Sandro, l’informazione ci è stata data da chi ci ha illustrato il luogo, non siamo tuttologi. Lasciamo il testo invariato e pubblichiamo la sua precisazione nei commenti. Grazie per il suo importante contributo. La direzione